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Cannes a metà

Cannes a metà

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(di Carlo Di Stanislao) – Ha illuminato la Croisette, bello più che mai e, come al solito, simpaticissimo, comparso al seguito di Killing Them Soflty, brutale ma anche ironico (a tratti addirittura esilarante) noir del regista Andrew Dominik (lo stesso che lo aveva già diretto in L’assassinio di Jessie James), certamente senza le speranze di affermazione vissute l’anno scorso, quanto era a presentare il film di Malick The tree of Life, vincitore della Palma d’oro, ma con tutto lo charme ed il carisma di una vera star.

Bradd Pitt, lungo-chiomato ed in perfetta forma, ha però gelato i cuori dei più romantici, dicendo che circa le voci del suo imminente matrimonio con Angelina Jolie, sono solo rumors.

Ieri è arrivata anche Jessica Chastain, l’attrice di The Help, con addosso uno splendido abito bianco di Armani, una nuvola romantica e leggermente retrò che, grazie anche ai capelli rosso fuoco raccolti da un lato, che lasciavano vedere il pendente di diamanti, ha tolto il fiato a tutti i presenti.

La creazione, estremamente elegante, con un corpetto ricoperto di Swarosky ed una scollatura a cuore che terminava direttamente sulla gonna ampia che accarezzava il red carpet con le pieghe leggere dello chiffon, pare abbia compensato l’ineleganza della giurata Andrea Arnold, vestita come per un tè con le amiche o per un cocktail, con un abito troppo stretto per il suo fisico non esile, con scollo rigido a barca e stampa floreale su sfondo azzurro, al quale ha pensato di abbinare delle orribili calze nere coprenti, bigiotteria vistosa e boots, dal gusto leggermente rock.

Per quanto concerne il Festival è al giro di boa e si cominciano a fare alcune riflessioni sui film visti in questa edizione tutta improntata alla grandeur francese.

Al centro del Festival la tragedia, con nessun film andato sullo schermo, tranne quello d’apertura, Moonrise Kingdom di Wes Anderson, che sono scivolati sul leggero.

Jacques Audiard, con De Rouille et D’Os, ci parla di un lottatore di kickboxing clandestino, che sta cercando finalmente di crearsi un’opportunità diversa di vita e realizza un dramma solido e bello, che comunque si perde alquanto nel finale.

Cristian Mungiu, già Palma d’Oro per “Quattro mesi, tre settimane e due giorni”, ci porta, con Beyont the Hill su di una collina per vedere la vita monastica di un gruppo di suore e di come siano sconvolte dall’arrivo di una ragazza che vorrebbe portarsi via con sè l’ex migliore amica, ma senza riuscirci. Due ore e quaranta che sono sembrate una maratona per gli spettatori e con neanche un momento da ricordare.

John Hillcoat (quello di “The Road”), che in Lawles, racconta la storia dei tre fratelli all’epoca del Proibizionismo, con nel cast Shia LaBeouf, Tom Hardy, Amy Adams, Jessica Chastain, Jason Clarke, Gary Oldman, Mia Wasikowska e Guy Pearce ed una cifra stilistica impegnata solo a mostrare la violenza ed il sangue, risparmiando poco e nulla allo spettatore, in un trionfo di gole tagliate, evirazioni, calci in faccia e via dicendo.

Michel Haneke, che racconta (in Amour) l’amore senile, partendo dalla storia di una coppia che si avvia alla morte. Lei è malata, lui fa di tutto per starle accanto durante il trapasso. Due ore e dieci così e poco altro. C’è la maestria di Haneke nel raccontare la quotidianeità senza semplificazioni, c’è la bravura di Emanuelle Riva e Trintignan tornato sullo schermo dopo 14 anni e seppur l’obiettivo del film sia raggiunto, si tratta davvero di un’ambizione piccolissima già in partenza.

Invece Thomas Vinterberg ribalta la storia di “Festen” (che non mi era piaciuto) e se lì c’era un papà accusato (giustamente) di violenze sessuali dai figli, ma che veniva giudicato innocente dal resto della comunità (ovvero gli invitati al compleanno), in questo suo ultiomo film intitolato Hunt c’è un uomo ingiustamente messo alla berlina da tutta la sua cittadina dopo che una bambina dice, quasi per scherzo, di essere stata molestata. Ne esce una pellicola certamente ricattatoria per lo spettatore, ma anche potente ed in grado di stimolare riflessioni.

Infine il nostro Garrone, alfiere italiano con l’unico film tricolare in concorso: Reality, parte alla grande e fa un’ora eccezionale, ma si esaurisce poi, perdendosi completamente in un finale un po’ sognatore che lascia col’amaro in bocca. Forse c’è qualche possibilità di vittoria residua per il protagonista Aniello Arena, ma altrettanto certamente questo film ,contro un certo tipo di tv, non è fra quelli meritevoli di premio.

Si parla di Grande Fratello, dell’illusione di un uomo che, passato il primo provino, pensa di avere la strada spianata nella celebre “casa” e che per questo comincia a modificare la propria vita, sicuro che ovunque ci siano programmatori televisivi e psicologici che lo stanno studiando.

Sicchè la finzione diventa realtà con tutte le (tragiche) conseguenze del caso, fino alla pazzia.

E’ innegabile innegabile la similitudine tra la Via Crucis e il percorso di sofferenza del protagonista., la cui ricerca di paradiso porta direttamente all’inferno, ma la mano è ferma solo nell’incipit e poi progressivamente si perde.

Applausi, invece, per il novantenne Resnais, che ieri mattina ha presentato L’Amore folle, in concorso, accolto con un fragoroso applauso in sala, che si è trasformato in una standing ovation durate la conferenza stampa.

Protagonista del film la sua eterna musa, Sabine Azéma, con altri grandi del cinema francese, da Michel Piccoli a Pierre Arditi, a Mathieu Amalric per raccontare una teatrale versione del mito di Orfeo ed Euridice, trasposto ai giorni nostri, in cui finzione e realtà si sfalsano in continuazione. L’idea della morte aleggia costante, come vuole la pièce di Antoine d’Anthac “Eurydice” su cui si basa la pellicola, inducendo a pensare a una sorta di opera-testamento.

Sempre ieri esibizione di un altro grande: Abbas Kiarostami, in competizione con la commedia Like someone in love, aspramente contestato dal pubblico in sala, storia, ambientata in Giappone, di una serata trascorsa tra un anziano professore e una prostituta che si evolve in una vera odissea, in cui il cliente si trasforma involontariamente nel nonno della ragazza per affrontare la gelosia del fidanzato di lei, ignaro della professione dell’amata.

Oggi, fuori concorso, sarà presentato alla stampa il film di Bernardo Bertolucci Io e te, basato sul romanzo di Nicolò Ammaniti. Per l’occasione arriverà a Cannes anche il ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi a presentare un piano di rilancio del cinema italiano alla comunità internazionale.

Speriamo che il film di Bertolucci funzioni tanto quanto il Dracula in 3D di Dario Argento (per il quale si è gridato al capolavoro, anche grazie alla fotografia di Luciano Tovoli) e che il piano del ministro dia speranze al nostro cinema.

 

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