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Moretti presiede Cannes

Moretti presiede Cannes

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Il feeling fra Nanni Moretti ed il Festival di Cannes è antico, profondo, reciproco.

L’autore è stato in concorso a Cannes sei volte e nel 2001 ha vinto la Palma D’Oro, con il film “La stanza del figlio”. Nel 1997 fu membro della giuria e lo scorso anno, con “Habemus Papam”, accolto come si conviene ai maestri.

Ieri, con una lettera commossa e vibrante, Moretti ha accettato l’invito del Festival a presiederne la prossima edizione, che si svolgerà dal 16 al 27 maggio prossimi. “È una gioia, un onore e una grande responsabilità presiedere la giuria del festival cinematografico più prestigioso del mondo, che si svolge in un Paese che ha sempre avuto nei confronti del cinema attenzione e rispetto”, ha scritto Moretti agli organizzatori del Festival.

Il direttore dello stesso, Thierry Fremaux, che ha anche detto che Moretti è uno degli autori del suo personale pantheon, ha spiegato che, poiché negli ultimi 4 anni, Cannes ha avuto 3 presidenti di giuria americani, “era cosa giusta tornare all’Europa”.

Moretti succede a Robert De Niro (che, l’anno scorso, ha premiato lo statunitense Terrence Malick), Tim Burton, Isabelle Huppert e Sean Penn.

Il presidente dell’Anica Riccardo Tozzi si rallegra, augurandosi che l’investitura morettiana “sia di buon auspicio per una presenza qualitativamente e quantitativamente positiva del nostro cinema”, deluso da anni e da anni lontano dai grandi premi (si pensi alla recente esclusione dagli Oscar di “Terraferma” di Crialese).

Dopo l’investitura francese e dopo il fallimentare di “Crialese, molti si chiedono, Moretti incluso, quale per quale motivo non ci si è affidati ad “Habemus Papam”, che già aveva ricevuto un’ottima accoglienza a livello internazionale.

Eppure, credo, che alla giuria degli Awards, neanche l’ultima fatica del nostro sarebbe piaciuta molto: un film molto ben fatto,  ma molto complesso, teso a dimostrare che il cinema (il contenitore) non è più in grado di sostenere le sue emozioni (il contenuto); raffinatezze che non sono da Hollywood, perché vuole dimostrare (cosa che Hollywood ha sempre detestato), con un meticoloso lavoro sul senso dell’immagine cinematografica, che oggi Il cinema non basta più, o meglio non basta più la rappresentazione di quello che vediamo attraverso l’immagine e per afferrare il senso di quello che ci accade intorno, ma soprattutto dentro di noi.

Una realtà confermata, io credo, anche dalla recente procedura fallimentare di Kodak, leader indiscusso della rappresentazione analogica, fondata da George Eastman nel 1888, che si porta via un gran pezzo di storia, soppiantata dal digitale.

Certo, alcuni (come lo scrivente) ancora pensano, nostalgicamente, che il gusto della fotografia rimane, ma seguendo altri percorsi e altri tempi, fatto di nuovi riti, come sedersi davanti a un computer, guardare centinaia di foto e scegliere le più belle, che è sempre frutto di un gusto e di una passione; ma che difetta, ad esempio, di sviluppo, tempo, etica ed attesa.

Torniamo a Cannes.

Prima del 58enne Moretti, altri sei italiani hanno presieduto la giuria del Festival: Sophia Loren nel 1966, Alessandro Blasetti nel 1967, Luchino Visconti nel 1969, Roberto Rossellini nel 1977, Ettore Scola nel 1988 e, infine, Bernardo Bertolucci (che l’anno scorso è stato premiato alla carriera), nel 1990.

Il cinema italiano piace molto a Cannes, tanto che, per ben due volte, due film italiani, ex-aequo, si sono spartiti la Pala D’Oro: nel 1972 “Il Caso Mattei” di Rosi e “La Classe Operaia va in Paradiso” di Petri e, nel 2008 “Gomorra“, di Garrone e “il divo” di Sorrentino.

L’anno scorso, invece, Paolo Sorrentino e Nanni Moretti a Cannes sono stati applauditi, ma non premiati.

L’ultimo premio ad un italiano quello del 210, a Elio Germano, come miglior attore per La Nostra Vita del regista Daniele Lucchetti, che viene proprio dal vivaio morettiano, assistente alla regia in Bianca e aiuto regista in La messa è finita, già in concorso a Cannes nel ’91, con film Il portaborse (prodotto da Moretti), un film che per molti versi anticipa il processo di cambiamento politico che passerà alla storia come Mani Pulite.

 Carlo Di Stanislao

 

 

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