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Comparse e scomparse teatrali

Comparse e scomparse teatrali

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(Di Carlo Di Stanislao) Con profusione di sangue, effetti speciali, autocitazioni e nudi ammiccanti, Dario Argento esordisce a teatro firmando la regia del “ Macbeth” di Verdi, opera maledetta e sfortunata (secondo gli esperti), con si cimenta con la lirica e si si fa riconoscere per stile e astuzia provocatoria.
Scelta per celebrare il bicentenario verdiano, la messa in scena firmata Argento ha inaugurato con due repliche (il 4 e il 5 ottobre) la stagione 2013-2014 del Teatro Coccia di Novara e non è sfuggito ai cinefili che il regista romano proprio intorno a quest’opera fece ruotare la trama del suo film “Opera” nel 1987.
“Macbeth”  è la tragedia di Shakespeare più cruenta, tra delitti e spettri, perfetta nella sua crudeltà per creare un clima d’angoscia”, ha spiegato Argento che con Giuseppe Altomare nel ruolo di Macbeth e Dimitra Theodossiou in quello di Lady Macbeth, e con l’orchestra era diretta dal Maestro Giuseppe Sabbatini, ha fatto il tutto esaurito.
Se Argento fa capolino in teatro, ne esce un grande: Patrice Chéreau, stroncato ieri a 68 anni da un tumore al polmone, uno dei grandi del teatro europeo del secondo Novecento, una delle personalità registiche di maggiore spicco della sua generazione.
Figlio del “maggio” francese, cresciuto – artisticamente – sulle barricate delle banlieu parigine, aveva cominciato a rivelare il suo precocissimo talento fin dai banchi di scuola, alla guida di una compagnia di liceali.
Divenuto, nel ’67, poco più che ventenne, direttore del Théâtre de Sartrouville, uno spazio decentrato in un piccolo comune alla periferia della capitale, si era imposto all’attenzione con diversi spettacoli dal forte impatto, soprattutto con I soldati di Lenz. La notorietà, conquistata in Francia, l’aveva poi sicuramente consolidata in Italia, al Piccolo Teatro di Milano, dove Paolo Grassi l’aveva chiamato nel ’69 come regista stabile, nel periodo in cui Strehler si era dimesso scegliendo altre strade. A Milano aveva allestito tre memorabili spettacoli, Splendore e morte di Joaquìn Murieta di Pablo Neruda, Toller di Tandred Dorst e una sontuosa Lulu di Wedekind.
Anche al cuinema si era distinto, esordendo nel 1975 con il noir tratto da J.H. Chase Un’orchidea rosso sangue e dopo aver firmato la regia del torbido L’homme blessé (1982) ed aver interpretato un insolito Napoleone, in un’insolita pellicola sulla Campagna d’Egitto vista dalla parte degli arabi, del maestro egiziano Youssef Chahine, firma, nel 1994, il maestoso La regina Margot, Premio della Giuria a Cannes e premio per la migliore interpretazione femminile per Virna Lisi.
L’inizio del nuovo millenio è il suo periodo migliore: nel 2001 vince il Festival di Berlino con lo scandaloso e discusso Intimacy – Nell’intimità e replica con l’Orso D’Argento nel 2003 con lo struggente Son frère, mentre nel 2005 porta in laguna il film da camera Gabrielle con Isabelle Huppert e nel 2009 il dramma sulla gelosia Persécution, con Romain Duris e Charlotte Gainsbourg.
Attore ne L’ultimo dei Moichani di Machael Mann e in Il tempo dei lupi di Michael Haneke, insignito del Premio Europa per il Teatro. Nel 2008, ha lasciato il segno in alcune messinscene operistiche, come la Tetralogia wagneriana a Bayreuth, nel ’76, Da una casa di morti di Janacek e Tristano e Isotta di Wagner, nel 2007 al Teatro alla Scala di Milano.
E’ stato ucciso dal cancro mera intento alla lavorazione dell’adattamento del romanzo di Laurent Mauvignier “Des Hommes”, che racconta come alla festa dei sessant’anni di Solange, che coincide con il suo pensionamento, c’è quasi tutto il piccolo paese della campagna francese, ci sono amici e soprattutto fratelli e cugini. Una comunità grigia, un po’ conformista, brave persone, appena un po’ grette. E in questo scenario che irrompe Bernard, o Fuoco di legna, com’è soprannominato da tutti, fratello di Solange, pecora nera della famiglia, da subito circonfuso da un alone di sventura, che pare materializzarsi fin nel cattivo odore di legna bruciata che emanano inesorabilmente i suoi abiti pur tirati a lucido alla bell’e meglio per l’occasione. Non invitato, si presenta però con un regalo per Solange, un regalo prezioso, una spilla d’oro, che subito suscita lo sgomento, poi lo scandalo degli altri fratelli, persuasi, nemmeno troppo segretamente, che Bernard abbia derubato la vecchia madre, dopo aver per anni approfittato anche dell’aiuto economico dei fratelli. Cacciato dalla festa, Fuoco di legna si ubriaca al bar di fronte e quando rientra nella sala, alterato dall’alcol, si rivolge con parole insultanti a Chefraroui, vecchio collega di Solange di origine araba. È proprio questo episodio, e poi la presunta aggressione ai familiari di Chefraroui da parte di un Fuoco di legna sempre più alterato, a gettare scompiglio nella piccola comunità. E lentamente, nella lunga notte che precede la probabile denuncia, il narratore dipana la trama del passato di Fuoco di legna. L’orizzonte si dilata, si sposta, riandiamo indietro nel 1961.
In fondo una amara riflessione sulla vita e sulla morte, soprattutto pe chi, a differenza di lui, non a mai davvero vissuto.

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