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Con Amadei finalmente un buon film al Cine-Roma

Con Amadei finalmente un buon film al Cine-Roma

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(di Carlo Di Stanislao) – Questo festival doveva essere di transizione,  con un programma molto cinefilo e con poco glamour,  ma il problema è (lo ripetiamo) che sino ad ora sono mancati i film che lasciano veramente il segno.

Anche quelli che salviamo sono appena discreti e ci riferiamo ai fuori concorso “Popoulair” e “Mental” e, fra quelli in concorso, a “Spose celesti per i Mari della pianura” di Alexey Fedorchenko, un Decameron siberiano appena sufficiente, ma  almeno godibile.

Ci è piaciuto anche l’onesto documentario su Carlo Verdone e un poco “Alì dagli occhi azzurri”, opera seconda in concorso di Claudio Giovannesi, che racconta l’adolescenza nella società multietnica, attraverso la storia di Nader, un ragazzo di origine egiziana che vive ad Ostia; una pellicola dignitosa ma che non desta particolare entusiasmo.

Nutriamo dubbi  e non solo strutturali, per i ritratti di comunità particolari presenti a Roma  e al centro dei docomentari:  “Ebrei a Roma” di Gianfranco Pannone; “Pezzi” di Luca Ferrari e “Black Star” di Francesco Castellani, imperniato sulle vicende della Liberi Nantes Football, squadra di calcio composta solo da rifugiati politici.

Improvviso entusiasmo invece, ci arriva da Aureliano Amadei  (quello di “Venti sigarette”, invitato a L’Aquila dalla Lanterna Magica lo scorso anno),  che dedica un documentario a Giancarlo Parretti, che da cameriere a Orvieto riesce, alla fine degli anni Ottanta a diventare il presidente della Mgm, uno fra i più gloriosi studios hollywoodiani. Una storia incredibile che ha dato luogo al più grande crack finanziario della storia del cinema,  che portò anche all’affondamento del Credito Lyonnaise.

Il film, “Il leone d’Orvieto” (in concorso a Prospettive Italia), è una thrilling commedy che racconta tutta la complessa vicenda attraverso la testimonianza del protagonista e dei tanti personaggi che hanno avuto a che fare con lui.

Il tono scelto da Amadei è quello della commedia popolare ed è una scelta vincente, per raccontare  una scalata fatta per scommessa, con la macchina da presa a seguire le tappe di una storia raccontata con acume e classe giornalistica, mantenendo sempre un tono lieve, giocando con le citazioni e montando con acume una mole di documenti.

Dopo aver raccontato con grande vigore l’Italia migliore di Nassirya, qui Amadei racconta senza enfasi critica,  un’altra tipica storia italiana, con finanzieri d’assalto che spuntano dal nulla, faccendieri, incroci pericolosi con la politica e con il sistema bancario, personal jet e l’immagine di un’auto della Guardia di Finanza che entra sgommando nel cortile di una caserma.

Se non fosse per il bianco e nero, ci sarebbe da chiedersi qual è la realtà e quale la finzione e se non conoscessimo la vicenda di Parretti, che dopo due sole settimane di carcere, ora vive in una splendida casa al centro di Orvieto; ci verrebbe da dire che, in fondo, la storia parla di una tendenza italiana, fatta di bufale e malaffare, che si ripete da trenta anni, come fosse un disco rotto.

Per ora Amadei è al primo posto quanto ad esiti e  riuscita, l’unica cosa davvero notevole fra piatti riscaldati e vivande risapute e servite anche male.

Spero di ricredermi ed attendo “The Motel Life che vede l’esordio alla regia dei fratelli Gabe e Alan Polsky, già conosciuti come produttori, con nel cast Dakota Fanning e Emile Hirsch e, ancora, “Main dans la main di Valérie Donzelli, la storia della direttrice dell’Opéra di Parigi che si innamora di un ballerino. Non vi è molto altro su cui sperare, a parte le masterclass di Walter Hill, James Franco, Douglas Gordon e  Paul Verhoeven, che comunque saranno per addetti ai lavori.

Domani sera Walter Hill riceverà il Maverick Director Award, il premio destinato a segnalare i protagonisti del cinema e presenzierà alla prima mondiale del suo ultimo film: “Bullet to the head”,  con protagonista Sylvester Stallone, che ieri, dalle mani del sindaco Alemanno, ha ricevuto una “lupa capitolina”, consegnata al Teatro di Tor Bella Monaca, con Sly che si è concesso al pubblico borgataro per una quarantina di minuti.

Per Hill è bene nutrire qualche speranza,  ma ai cinefili raccomando di stare alla larga dall’Auditorium Parco della Musica e di andare invece in via Perugia 34, dove è in pieno svolgimento Kino e dove sarà presente Larry Clark, uno dei più importati registi indipendenti americani, autore di “Kids” e “Ken Park”, per presentare il suo ultimo film: “Marfa Girl”, storia a base di sesso, droga, rock, violenza e razzismo e che, ci dicono, sarà ancora una volta in grado di stupirci.

Quanto al festival dal cartellone scarno e privo di sussulti, aspettiamo il 14 novembre, giorno della prima di Hill, con il pubblico (per una volta si spera nutrito e soddisfatto) che verrà i deliziato da tre incontri con lui, Paul Verhoeven e James Franco, il divo adorato dai cinefili e appena “sdoganato” e scoperto anche dalle ragazzine disneyane impazzite a Venezia per Selena Gomez che era al suo fianco, con  Douglas Gordon per contorno, strappato agli impegni di presidente di giuria  della sezione CineMaxxi.

E speriamo si parli (almeno) di buon cinema, dal momento che poco di buono abbiamo scovato nel Festival, comprese le mattinate con Checco Zalone e “I soliti idioti”, ovvero Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio, che in qualità di giurati, assieme alla giornalista Alessandra Mammì e a Camilla Nesbitt, vedono i film con i giornalisti all’Auditorium, per assegnare, infine,  il premio Taodue per opere prime e seconde, soprattutto italiane, fra battute ormai più che logore e pellicole che non riescono a decollare.

Carlo Di Stanislao

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