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Crolli e riprese

Crolli e riprese

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(di Carlo Di Stanislao) – Crolla l’Italia e non solo metaforicamente.
Crolla una parte della bretella di collegamento del viadotto sul fiume siciliano Imera e il solaio di una scuola elementare di Ostuni, con Repubblica che pubblica un tragico elenco di due decenni di disastri ed il Censis che avverte che sono 3 milioni e 575 mila gli immobili potenzialmente a rischio da noi e, di questi, il 36,5% per ragioni di anzianità e il 63,5 per cause tecniche.
L’Italia va in pezzi, ma solo adesso i nostri parlamentari sembrano rendersi conto che i disastri erano annunciati da un sonoro e assordante silenzio.
Unico effetto di tutto questo, le dimissioni dello storico capo dell’ANAS Pietro Ciucci, economista e non ingegnere, che se la geologia non avessero fatto il suo corso, sarebbe rimasto presidente dell’agenzia fino a maggio 2016, quando una legge, voluta da Renzi, lo avrebbe costretto a lasciare il suo incarico.

Mandarino della burocrazia dal 1969, da quando cioè aveva 19 anni, Ciucci ha spadroneggiato tra società di Stato, consigli di amministrazione, fra un’abbuffata di cariche ed una abbondanza di crolli, con flop storici e miriadi di lavori mai ultimati.
Una carriera la sua che ricorda quella di molti altri satrapi di stato, schiera nutrita di uomini buoni per ogni governo e stagione, organici ad un paese a cui piacciono i contrasti e gli uomini fuoriposto, come l’altro immarcescibile delle infrastrutture, Ercole Incalza, che dirigeva la struttura operativa del ministero, ma arrotondava di pomeriggio con l’elmetto sulla testa per conto terzi.

Federico Fubini, su Repubblica, ha intervistato Lorenzo Codogno, della London School of Economics e fino a ieri capo-economista del Tesoro, che dice: “L’Italia sta pericolosamente camminando su un filo” e continua affermando che la riduzione del debito prevista dal DEF non è affatto assicurata e “c’è la chiara percezione che il governo sia a corto di modi semplici di tagliare la spesa corrente”.
Sul Sole24Ore Fabrizio Fourquet definisce “il tesoretto, solo un’arma di distrazione di massa”, con i conti del governo che sarebbero solo “virtuali”, mentre ci aspettano lacrime e sangue e un’Europa, in futuro, sempre meno comprensiva.
Scrive Minneo su Articolo 21 che la mossa del cavallo resta l’Italicum, che è pero paralizzato dalla sfacelo della politica,con Forza Italia lacerata, Alfano irrilevante e le nudità del Salvini; con il Pd sempre più sull’orlo dello strappo e Grillo che sbianchetta “il principale avversario” accusando di mercimonio i dissidenti.
Anche da “emerito” Napolitano continua la sua difesa nei confronti di Renzi, poiché sa bene, da politico navigato e di lungo corso, che è l’Italicum la sola base solida del renzismo, per cui amminisce: “non disfate quanto costruito”; mentre Stefano Ceccanti mette in rete (https://stefanoceccanti.wordpress.com/2015/04/13/michele-nicoletti-su-il-margine-a-difesa-dellitalicum/ )un’accorata difesa della legge, in vista del confronto con le minoranze Pd alla Camera.
Michele Nicoletti, che è il vero ispiratore del testo di Ceccanti, afferma che così com’è l’Italicum assicura al “popolo sovrano” di scegliere il governo senza margini d’errore.
Ma c’è chi nota che anche se la distorsione maggioritaria sarà meno forte di quella possibile con il Mattarellum, con l’Italicum ci troveremo a regalare 130 deputati al premier vincitore.
Inoltre, anche se molti difendono il testo renziano affermando che da anni il sistema italiano si orienta verso il premierato (e che tale sistema sarebbe da preferirsi al presidenzialismo in quanto lascia formalmente intatti i poteri del Presidente e del Parlamento), quello che non si dice è che l’Italicum non si sforza di indicare qualche contrappeso, di promuovere contropoteri che limitino la dittatura del capo, mettendo di fatto in sonno Presidente e Parlamento, rendendo pleonastica la Costituzione e, tecnicamente, realizzando un colpo di stato democratico.

Insomma un altro possibile sfacelo, un crollo secondo alcuni annunciato, da parte di un testo di riforma che nasce con il peccato originale di lasciare ai partiti il potere di selezionare i rappresentanti del popolo.
In questo clima crolla la fiducia dei cittadini verso la classe politica tutta, con l’ultimo sondaggio Emg per La7, che rivela un calo dell’ 1,5% delle intenzioni di voto per il PD e dell’1% dei favori per Renzi; per ora appena un sintomo di malessere, ma se lo si somma alla percezione di 8 italiani su 10 che le tasse stiano aumentando, ecco che il malessere può diventare sindrome da rigetto o crollo definitivo dell’intero sistema.
Naturalmente, con qualche distinguo, Repubblica continua a stare dalla parte del governo e reagisce col titolo: “Fisco, basta blitz e più controlli bancari. Inps, cambia la Fornero! Pensioni flessibili e assegni pagati il primo del mese” ed il commento secondo cui il governo lavora per il bene comune e l’Italia si muove nella giusta direzione; mentre vari centri di ricerca internazionali e nostrani continuano a ripeterci che il nostro debito pubblico è “tecnicamente” insostenibile e che quindi la sorte dell’Italia è segnata.
Ora, è vero che malgrado la crisi abbia depauperato il nostro potenziale produttivo, l’Italia rimane il secondo Paese industriale in Europa dopo la Germania e mostra un’ottima performance nelle esportazioni; ma è anche evidente che se non riprendono gli investimenti in capitale fisico, formazione e ricerca la capacità produttiva continuerà a deperire e alla fine non saremo in grado di mantenere le nostre posizioni.
Tutti gli economisti ci dicono che il nostro futuro dipende da noi, dalla capacità che avremo di fare delle cose concrete che inducano, per usare l’espressione di Keynes, gli animal spirits a credere ancora nell’Italia.

Ma fra crolli, malversazione, corruzione, politica divisa e poco incisiva chi davvero avrà questo “spirito” ottimista?
Nessuno dei problemi storici del nostro Paese è stato risolto: non la trasparenza negli appalti, non la correttezza nei lavori, né l’equità illuminata nella gestione dei soldi pubblici.
E a questi, per così dire storici, si aggiungono problemi recenti e spinosi, come l’emergenza (ormai divenuta quotidiana) degli immigrati: diecimila in pochissimo giorni, con centri di accoglienza al collasso, abbandonati spontaneamente dagli stessi migranti per raggiungere, senza alcun controllo, città come Roma e Milano.
Di fronte a que¬sto sus¬se¬guirsi di tra¬ge¬die, la Lega minac¬cia la rivolta con¬tro il piano messo a punto dal Vimi¬nale per la distri¬bu¬zione dei pro¬fu¬ghi tra le varie regioni, con Mat¬teo Salini che è arri¬vato a minac-ciare l’occupazione di tutte le strut¬ture che potreb¬bero ospi¬tare i migranti.
Naturalmente negli intervalli di tempo rispetto alla distruzione di tutti i campi rom, che, secondo lui ed i sostenitori, vanno “rasi al suolo”
A luie ai leghi¬sti ha rispo¬sto Laura Bol¬drini: “Trovo ter¬ri¬fi¬cante che ci sia chi spe¬cula sulle tra¬ge¬die dell’immigrazione”, ha detto la pre¬si¬dente della Camera, che ha anche defi¬nito “una richie¬sta asso¬lu-ta¬mente sen¬sata” quella fatta alle Regioni di valu¬tare la dispo¬ni¬bi¬lità di accoglienza.
Parole di grande fermezza, sensatezza e senso di democrazia, ma che non mostrano come risolvere questo ennesimo crollo del sistema-Paese.
Da parte delle Nazioni Unite arriva il riconoscimento per gli sforzi fatti dall’Italia nell’accoglienza dei migranti. “L’Italia sta portando un fardello enorme per conto dell’Europa sul problema dell’immigrazione” ha affermato il portavoce Onu, Stephane Dujarric, commentando gli ultimi drammatici sbarchi di immigrati sulle coste italiane e ricordando come l’Alto Commissariato per i rifugiati “sta lavorando a livello europeo e in stretto contatto con l’Italia e la Grecia”.
Ma, al solito, l’Europa resta sorda sulle richieste di due nazioni allo sbando, in cui tutto crolla ed i cui politici e dirigenti sono privi di ogni qualsiasi credibilità.
Come ironicamente scrive su l’espresso Michele Serra, l’Italia è per metà disastrata e per metà in vendita.
Abbiamo venduto di tutto e, da pochissimo, anche Pirelli, la gloriosa fabbrica di pneumatici messa su dall’ingegnoso figlio di un panettiere, ora andata ai cinesi, come l’Inter passava all’indonesiano Tohir, i grattacieli di porta Volta ai sauditi e le Olgettine, scaricate da Berlusconi, andate in dote a Putin, senza che tale epocale passaggio abbia minato prospettive e umore della premiata maison milanese, poiché: “si tratta pur sempre di avere a che fare con un tipo anziano, bassetto e pelato che si crede uno strafigo, e farsi pagare regolare stipendio per farglielo credere”; come ha dichiarato Chantal Caparuozzolo, ex sottosegretaria alla Ricerca scientifica e attuale portavoce delle stesse signorine per “cene eleganti”, che saranno ospitate in una isba alle porte della capitale russa e costituiranno, anche lontano da casa, un vero e proprio presidio dello stile italiano nel mondo.
Una sola cosa ci allieta: la massiccia presenza di film italiani al prossimo Festival di Cannes, con Moretti, Sorrentino e Garrone in concorso e “The Other Side” di Roberto Minervini, inserito nella sezione Un Certain Regard.

Il poster ufficiale della 68° edizione del Festival vede protagonista Ingrid Bergman, che lasciò Hollywood per il nostro paese, perché ci credeva, in un tempo, che ora sembra lontanissimo, in cui sull’Italia si poteva davvero credere e sperare
Adesso, il fatto che, a parte Moretti, tutti gli altri italiani selezionati a Cannes abbiamo girato i loro film in lingua straniera, mi preoccupa non poco, poiché potrebbe essere l’emblema di una classe intellettuale che ormai non crede più che il nostro paese abbia un futuro o possa riprendersi dal numero infinito di crolli che ne ha disastrato nerbo e struttura.
D’altra parte tutta il “made in Italy” va male ed anche il turismo crolla a precipizio, come ci informa il “Country Brand Index”, dove si legge che nel 2004 eravamo primi nella classifica redatta sulla base delle opinioni di migliaia di “opinion maker”, mentre alla fine del 2014 siamo malinconicamente scesi in diciottesima posizione e secondo le proiezioni il trend sarà negativo anche nel prossimo futuro.
Infrastrutture obsolete, scarso sviluppo tecnologico, scarsità degli investimenti su scuola e ricerca, fenomeni di razzismo, sono una cartina di tornasole di come il sistema dei valori nella società nostrana stia mutando in peggio, ed abbia prodotto il crollo certificato dal “Country Brand Index” e che, forse, non ha già più possibilità di ripresa.

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