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Davide 2012

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(Di Carlo Di Stanislao) Hanno vinto i fratelli Taviani, come a Berlino, con il loro coraggioso (anche se per molti versi irrisolto)  “Cesare deve morire”, premiati come registi e per il miglior film, mentre a Sorrentino (giustamente), è andato, per  “This must be the place”, il premio per la sceneggiatura.

Il premio per la interpretazione femminile,  se lo sono divise Zhao Tao, per ‘Io sono qui’ e Michela Cescon per ‘Romando di una strage’; quello per il miglior attore è stato assegnato, con ovazione,  a Michel Piccoli  per “Habemus Papam”.

Quando al Divide alla carriera, è stato attribuito (era davvero ora) a Francesco Rosi, che, sempre quest’anno, riceverà anche il Leone D’Oro a Venezia.

Autore simbolo e innovatore del cinema italiano di impegno civile, Rosi, che il prossimo novembre compirà 90 anni, ha rischiato di ricevere due “premi alla memoria”, da un cinema che, in fondo, lo ha sempre tenuto in secondo piano, nonostante il valore.

In gioventù vicino agli esponenti della cultura napoletana del dopoguerra (Patroni Griffi, La Capria, Ghirelli), Rosi prima de “La sfida”, suo esordio alla regia,  si è formato alla scuola di Luchino Visconti, suo aiuto-regista per “La terra trema” ed è quindi stato aiuto-regista di Michelangelo Antonioni e Mario Monicelli.

Il suo primo film, lo ripetiamo, “La sfida”, ottiene il Premio Speciale della Giuria e a Venezia. Il secondo, “I magliari”, nel 1959 vince a San Sebastián) e,  ambientato tra venditori di stoffe e tappeti ai limiti della legalità, già presenta quel dato cronachistico che, filtrato dalla finzione drammatica, costituisce la peculiarità del suo cinema.

In “Salvatore Giuliano” (1961), Orso d’argento a Berlino, l’uso di materiale di repertorio caratterizza uno stile da reportage giornalistico di rara efficacia, inaugurando un nuovo tipo di cinema politico, documentato e legato alla realtà più scomoda, sempre rivolto a capire il presente anche quando parte da materiali storici.

Nel 1963 ottiene la definitiva consacrazione vincendo il Leone d’oro a Venezia con “Le mani sulla città” (copia restaurata e in versione lunga nella cineteca della Lanterna Magica de L’Aquila), film-denuncia delle speculazioni e degli scandali durante gli anni della ricostruzione e del boom economico. Torna alla Mostra di Venezia nel 1970 con un altro film di forte impegno civile, Uomini contro, tratto da Un anno sull’altopiano di Lussu, fornendo uno sguardo privo di retorica della prima guerra mondiale.

“Il caso Mattei” (1972), Palma d’oro a Cannes, segna il ritorno allo stile del reportage nella ricostruzione delle vicende del presidente dell’Eni (interpretato da Gian Maria Volonté, premiato a Cannes con una Menzione speciale), fino alla sua morte in circostanze mai chiarite, gettando una luce inquietante sulle connivenze tra potere politico e oscure trame destabilizzanti.

Il successivo “Lucky Luciano” (1975), nuovamente con Gian Maria Volonté, ricostruisce gli ultimi anni di vita che il boss trascorre in Italia portando nella tomba i suoi segreti.

In seguito Rosi si rivolge a testi letterari. In “Cadaveri eccellenti” (1976), premio David di Donatello per il miglior film e la miglior regia, tratto da Il contesto di Sciascia, si sofferma sulla spirale del terrorismo e le compromissioni del potere.

Da Carlo Levi trae “Cristo si è fermato” a Eboli (1979), David di Donatello per il miglior film e la miglior regia, vincitore al Festival di Mosca, premiato come miglior film straniero ai Bafta, gli “Oscar” britannici.

Rosi realizza quindi “Tre fratelli” (1981), in cui riflette sugli anni di piombo (David di Donatello per la miglior regia e per la miglior sceneggiatura con Tonino Guerra, Nastro d’argento per la miglior regia) e in seguito “Carmen” (1984) dall’opera di Bizet (David di Donatello per il miglior film e la miglior regia).

E’ poi la volta di “Cronaca di una morte annunciata “(1987), tratto dall’omonimo romanzo di Márquez (in Concorso a Cannes),

“Dimenticare Palermo” (1990), scritto con Tonino Guerra e Gore Vidal, e “La tregua” (1997) da Primo Levi, in Concorso a Cannes, premio David di Donatello per il miglior film e la miglior regia, sono le sue ultime opere.

Per tornare al Davide 2012, duole notare come, in un momento di cocente crisi, produttiva e di riconoscimenti, mentre gli Oscar vanno in diretta ed in mondo-visione, i nostri equivalenti “Davide” si ritagliano solo un siparietto esiguo su Rai Movie.

Comunque, grazie al satellitare Rai, abbiamo potuto vedere e spettegolare sui i look scelti per calcare il tappeto rosso dalle attrici presenti.

Protagonista il nero, scelto da molte, tra le quali Valentina Lodovini, in un abito eccessivamente pieno di frange e di trasparenze,e Barbara Bobulova, in un anonimo total black, con borsetta di paglia. Anche la trionfatrice dell’edizione 2011, Paola Cortellesi, ha optato per un abito lungo nero, con pochi gioielli e un elegante chignon, mentre la bravissima Donatella Finocchiaro, ha scelto un outfit asimmetrico di Armani da pin-up anni ’50, con scollo profondo sulla schiena, e un fermaglio argentato sui capelli.

Colore, invece, per l’intramontabile Gina Lollobrigida, in un look barocco total red, arricchito da decori color oro sulla giacca e sulla cintura e guantini per nascondere i segni del tempo; invece la bellissima Cristiana Capotondi, in un regale abito di Vionnet blu dai drappeggi e asimmetrie calibrate, ci ha portato sul red carpet una nuova donna dall’eleganza senza tempo, la cui bellezza dava risalto a questa meravigliosa creazione con elegante semplicità enfatizzata dalla pettinatura racchiusa in un morbido raccolto.

Capelli raccolti anche per Zhao Tao, presentatasi sul red carpet con un abito rosa da principessa, ricco di drappeggi, con accenno di strascico svolazzante e gioielli da regina. Il colore poi è uno di quelli che vince sempre: un rosa pesca, che esalta la sua carnagione. Stesso colore scelto, con esiti differenti, da Claudia Gerini, che punta su un abito stretch effetto nude, con decorazioni sulla schiena e decori in rilievo, a cui abbina decolté in nuance, clutch nera e trucco da gatta.

Infine, splendida più che mai, Micaela Ramazzotti in un Giorgio Armani nero, lungo, con fiocco in vita, a cui ha abbinato scarpe ricoperte di lustrini e capelli lasciati sciolti e fluenti sulle spalle. Senza dubbio la migliore del red carpet.

Come il vero film-rivelazione, ma senza premi “Scialla!(stai sereno)”, di Francesco Bruni, che ha vinto il “Davide giovani”, assegnato da 6.000 studenti, anche se è stato “snobbato” per il Festival di Roma, dal plenipotenziario Marco Muller, che a forza di cambiare date ed invadere altri spazi, sta facendo del festival nella capitale un caso nazionale ed una questione di litigio fra sindaci e forze politiche, mostrando poco tatto e davvero meno naso (nonostante la lunga permanenza a Venezia), di Tonino Valeri che il film di Bruni ha scelto per il “Roseto Film Festival Opera Prima”, sempre ammesso che si trovino i soldi per realizzarlo. Per Muller si è stanziato un budget da 15 milioni e Alemanno ha detto che l’eventuale differenza ce la mete il comune. Per Roseto, che certo è minore, neanche la millesima parte.

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