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Greenpeace sfida Adidas e Nike contro l’inquinamento

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Ieri mattina attivisti di Greenpeace hanno aperto uno striscione con la scritta “Detox” all’entrata principale del più grande negozio al mondo di Adidas a Pechino e del vicino negozio Nike, per chiedere ai giganti dell’industria dell’abbigliamento sportivo di eliminare gli inquinanti tossici dalla propria catena produttiva e dai prodotti in commercio. La richiesta giunge al termine di un’indagine condotta nell’ultimo anno da Greenpeace sull’inquinamento da sostanze pericolose nelle acque dei fiumi cinesi.

I risultati dell’indagine sono stati presentati ieri con la pubblicazione del report “Dirty Laundry”[1]. Tra il 2010 e il 2011, Greenpeace ha raccolto campioni di acqua presso gli scarichi di due complessi industriali cinesi, lo Youngor Textile Complex e il Well Dyeing Factory Limited, localizzati rispettivamente sul delta del fiume Yangzte – il fiume più lungo della Cina che fornisce acqua potabile a circa 20 milioni di persone – e del fiume delle Perle.

I risultati delle analisi di Greenpeace indicano la presenza di alchilfenoli e composti perfluorurati, sostanze usate in alcune fasi della produzione tessile e considerate pericolose perché alterano il sistema ormonale dell’uomo e agiscono anche a basse concentrazioni.[2]

“Dietro questi complessi industriali cinesi ci sono grandi marche dello sport nazionali ma soprattutto internazionali[3] che, con il loro potere economico, avrebbero la forza di influenzare l’intera catena di produzione e il mercato – afferma Vittoria Polidori responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace – Adidas e Nike devono prendere il timone e guidare l’intero settore verso una chimica pulita”.

Le ricerche di Greenpeace sono indicative di un problema ben più vasto[4] e, 20 anni di attività sul campo, inducono a sostenere che l’unica soluzione è quella di intervenire sui processi produttivi per eliminare gradualmente l’uso delle sostanze pericolose, come già avviene in alcuni Paesi occidentali. Si tratta, infatti, di composti persistenti (che non si degradano facilmente nell’ambiente) e bioaccumulanti (che possono accumularsi nella catena alimentare) che non vengono trattenuti neanche dai moderni sistemi di depurazione delle acque, come nel caso dello Youngor Textile Complex.

“Al momento nessuna delle aziende indicate nel rapporto ha una visione completa dell’intero processo produttivo che porta alla fabbricazione del prodotto finito. La soluzione al problema è in primis adottare una chiara politica chimica che permetta alle aziende, attraverso monitoraggi periodici e scadenze precise, di ridurre e infine eliminare l’uso di composti pericolosi lungo l’intera catena di rifornimento” conclude Polidori.

Note:
[1] Il rapporto completo in inglese è disponibile qui:http://www.greenpeace.org/international/en/publications/reports/Dirty-Laundry/
[2] Le analisi di laboratorio hanno rilevato anche altri tipi di contaminanti pericolosi per l’ecosistema e la salute fra cui metalli pesanti (come cromo, rame e nichel) e composti organici volatili quali il dicloroetano, il tricloroetano (cloroformio) e il tetracloroetano.
[3] Abercrombie & Fitch, Adidas, Bauer Hockey, Calvin Klein, Converse, Cortefield, H&M, Lacoste, Li Ning, Meters/bonwe, Nike, Phillips-Van Heusen Corporation (PVH Corp), Puma e Youngor. Nel confermare le loro relazione commerciali con il Youngor Group, Bauer Hockey, Converse, Cortefield, H&M, Nike e Puma ci hanno informato che non fanno uso dei processi “a umido” del Youngor Group per la produzione dei loro abiti.
[4] Un anno fa  Greenpeace aveva trovato le stesse sostanze in campioni di pesci prelevati nel fiume Yangzte nel corso di un’altra ricercahttp://www.greenpeace.org/international/en/publications/reports/Swimming-in-Chemicals/

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