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Harry Potter, l’incantesimo finale

Harry Potter, l’incantesimo finale

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La scena clou: il malvagio Lord Voldemort scaglia su Harry Potter un Avada Kedavra. L’incantesimo finale, che porta alla morte. Gli effetti, per correttezza, non li diciamo. Ma certo è difficile pensare che tra quelli che hanno intenzione di andare a vedere Harry Potter e i doni della morte-Parte 2, in sala con Warner dal 13 luglio, capitolo conclusivo della saga durata 10 anni, ci sia qualcuno che non ha letto il libro da cui il film è tratto e che non sappia come vada a finire.

Quello che i potteriani assidui non sanno, però, è se l’altro ‘Avada Kedavra’, quello imposto dall’autrice J.K. Rowling sulla fortunata serie di romanzi che ha cresciuto un’intera generazione, è davvero ultimo e definitivo. Lei dice di sì. La storia è compiuta, non ci saranno seguiti. Del resto, ha senso. Il successo di Harry Potter sta proprio nel fatto di essersi rivolto non solo, come spesso accade con i prodotti di genere, a una determinata fascia di pubblico, ma proprio a un numero preciso e grossomodo stabile di lettori e spettatori.

 

Quelli che nel 1997, data di pubblicazione del primo romanzo Harry Potter e la pietra filosofale, e che al tempo erano ragazzi, hanno continuato, mentre crescevano, a seguire le gesta del protagonista. E lui, al contrario di tanti altri personaggi di finzione suoi pari, cresceva con loro. E assieme a lui, gradualmente, crescevano e mutavano le atmosfere di libri e film che ruotavano attorno alla sua figura. Così, se i primi due capitoli diretti da Chris Columbus – La pietra filosofale e La camera dei segreti – erano soprattutto spensierato intrattenimento per ragazzi, già con Il prigioniero di Azkaban (probabilmente il migliore, con Alfonso Cuaron dietro al timone) e Il calice di fuoco (di Mike Newell) i toni si fanno più dark e avventurosi. Per approdare poi alla fase “adolescenziale” guidata dal regista d’origine televisiva David Yates(L’ordine della FeniceIl principe mezzosangue e, naturalmente, I doni della morte) che con il suo stile secco e funzionale ha lasciato molto spazio al sentimentalismo e alle componenti psicologiche dei personaggi.

 

Il capitolo conclusivo, lo scrivemmo già ai tempi della prima parte, è pura fase adulta, tra omicidi, intrighi, guerre e grandi rivelazioni, ma è superfluo soffermarsi su questo punto, tanto i potteriani incalliti criticheranno comunque il film per aver cambiato questo o quello rispetto alla versione su carta stampata, ma in fondo in fondo apprezzeranno, perché fa parte del gioco. E i non potteriani continueranno a non capirci nulla, dato che le pellicole sono più che altro grossi gadget a uso e consumo dei soli appassionati, che con la loro conoscenza riempiono i buchi e le ellissi che le sceneggiature non si preoccupano minimamente di colmare. Insomma, una sorta di culto iniziatico. In questo caso c’è anche il 3D, ricostruito in post-produzione, ma è una pura formalità.

Più interessante studiare le reazioni. Chi ha seguito fino a oggi il ‘maghetto’ – si fa per dire, dato che ormai va per i trenta – si sente ora orfano di una porzione importante della sua vita. Certo, c’è Pottermore, il sito ufficiale che promette di mantenere in piedi il franchise offrendo schede, curiosità e forse in futuro anche racconti nuovi ispirati allo scenario potteriano, mentre alla Warner, la serie mancherà economicamente. Difficile trovare un sostituto altrettanto remunerativo. Lo scorso anno ci ha provato la Fox con Percy Jackson, il semidio adolescente anche lui protagonista di molti libri fortunati, che per certi versi somiglia parecchio allo stregoncino di Hogwarts (tanto che il film l’ha diretto Columbus), ma i risultati non sono stati quelli sperati. E nonostante ciò, è già in preproduzione Percy Jackson 2, nella speranza che la ‘fame di Potter’ lo aiuti in futuro ad emergere. Ma di nuovi romanzi di Harry, per ora non se ne parla.

 

“Magari tra dieci anni”, si è lasciata sfuggire una volta la Rowling, sobillata dalle richieste dei fan disperati. Ma davvero si vorrebbe vedere lanciare incantesimi un Potter ultraquarantenne? Forse è meglio lasciarlo invecchiare in pace. E magari cogliere l’occasione per crescere con lui. Stavolta, per davvero.

Andrea Guglielmino
CineCittà

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