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Il dubbio “miracolo” di Fiorello

Il dubbio “miracolo” di Fiorello

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(di Carlo Di Stanislao) – Fiorello sbanca all’auditel e fa ritornare in auge, scrivono i giornalisti, il varietà, dato per agonizzante ad inizio millennio e che ora, grazie a lui, batte di tre volte (come spettatori) il “Grande Fratello”,  su l’orlo del disastro più completo. Ma se il Grande Fratello (ed il reality, più in generale) non sperimenta più nulla, inscatola una realtà deformata, livellata verso il basso è sempre più noiosa, sempre più fiaccamente trash, sempre più protesa a offrire materiale umano; non meno risaputo è il varietà su cui Rai1 ha puntato tutto, con grande spreco di luci e coreografie, ma non un  “one man show” tutt’altro che innovatore ed invece innocuo e senza satira, né sale. , pur non volendo sembrare sgradevole e roso d’invidia come Sabrina Guzzanti, mi chiedo a che punto è giunta la nostra tv se deve gridare al miracolo per uno show appena sufficiente. Perchè in “Il più grande spettacolo dopo il week end”, Fiorello non inventa nulla ed è solo passabile, senza essere, come era stato un tempo,  spettacolare, sorprendente, spiritoso, intraprendente, autoironico e mille altre cose ancora. Naturalmente in casa Rai si brinda a champagne e il direttore generale dell’azienda, Lorenza Lei, dichiara: “ Siamo soddisfatti perché Fiorello è riuscito a consolidare il suo pubblico e ha riavvicinato i giovani alle prime serate di Raiuno”. Certamente i numeri contano e sono tutti dalla parte di Fiorello: dodici milioni 157 mila telespettatori di media, per uno share del 42.60%, con punte di ascolto di 14 milioni 695 mila alle 21.47, nel momento in cui veniva presentata l’esibizione dei Coldplay, e un picco di share del 49.17 sui saluti finali di Fiorello, prima della sigla finale. E risultati ancora migliori nella seconda puntata, con 14 milioni di spettatori.  Ma, mentre Pierluigi Diaco,  dice che Fiorello ha risposto con grande professionalità ed intelligenza al difficile compito di “valorizzare al massimo tutte le professionalità tecniche e autoriali che solo la Rai sa mettere a disposizione dei grandi artisti”; io sono tra coloro che di fronte alle due puntate hanno sbadigliato e, dopo pochi minuti, cambiato programma. La battuta di Sabina Guzzanti che  ha defunto lo show definito noioso è forse sgradevole ma, credo, niente affatto eccessiva. Certamente Fiorello sa il fatto suo e gli  ospiti sono scelti bene, complici. Nessuno sta sulle sue come accade in altre occasioni e anzi, ognuno mostra il suo lato più simpatico. Ma, insomma, le doti che in altri tempi facevano un buon varietà e cioè immediatezza, improvvisazione, creazione, capacità di tenere la scena, difettano tutte. E’ pur vero che non tutti i risultati generati dal varietà sono stati interessanti e di medesimo valore, ma bisogna riconoscere in questo genere di essere sempre stato all’avanguardia se non nella concezione, almeno in alcuni mezzi espressivi così come nell’azione per e con lo spettatore da parte dell’attore, che utilizzando il pubblico come primo elemento, modificandosi e plasmando la propria interpretazione a seconda delle esigenze, non rispecchiando ma trasfigurando e contraddicendo il mondo in opposizione a ciò che il teatro borghese metteva in scena, non lasciava fermare il fruitore al solo prodotto finito ma gli consentiva di riconoscerne le varie componenti strutturali, negli agenti e nei mezzi, che ne differenziano i risultati e che quindi lo valorizzano nella poliedricità. Ed ecco allora la critica a Fiorello: nel suo spettacolo tutto è acquetante ed atteso e non vi è mai un vero sussulto di novità. Nel libro Fenomenologia di Fiorello il critico televisivo Aldo Grasso (Mondadori 2008) racconta e spiega il “Fenomeno Fiorello”. Oggi, tre anni dopo, Grasso dovrebbe rivedere tutte le sue considerazioni.

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