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L’Aquila e i suoi giovani

L’Aquila e i suoi giovani

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(di Letizia Iannella e Alessia Leone)
Tutto il mondo è paese. Si dice. Vale anche per L’Aquila? No, non per i giovani aquilani, che vedono straordinaria una vita ‘normale’: quella del mondo e dei suoi paesi, che non è la stessa di una città terremotata.

‘Erano fantastiche le serate aquilane prima del terremoto’ ci dice uno studente universitario. Uno dei centri storici più grandi e ricchi d’Italia, il nostro offriva luci soffuse nelle serate estive per gli innumerevoli vicoletti, avvolti da ritmi diversi e da mille odori: pizza, gelato, zucchero filato, vino. E odore di passato, di storia. L’ambiente perfetto per un ragazzo: vivace e accogliente. Oggi lo stesso ragazzo lo trovi ogni sera, sempre se ha avuto voglia di uscire, nello stesso punto della stessa piazza con lo stesso cocktail. Come tutti gli altri; non c’è pericolo di non trovarsi.

É uno solo infatti il luogo di ritrovo (quasi esclusivamente serale e notturno) della gioventù cittadina. Il divertimento sembra essere quello di una volta –molti vengono addirittura da fuori per provare l’ebbrezza di uno di quei famosi alcolici giovedì aquilani- ma standoci dentro si sa che non è così. Manca una panchina, una risata sobria, un luogo alternativo, un motivo per mettere i tacchi. A volte manca il motivo per cui uscire di casa.

Di giorno invece, il punto di raccolta per i non lavoratori è l’Università. Le aule studio e le aule di laboratorio, prima luoghi di silenzio e attenzione, sono diventati luoghi di condivisione e socialità in cui finalmente esprimere se stessi. Oggi infatti l’Università si è adattata ai bisogni bambini del nostro emisfero destro e non soddisfa pienamente, pur essendo la sua funzione originaria, quelli della razionalità: mancanza di strumentazioni, occasioni di crescita intellettuale e inadeguato sfruttamento di potenziali risorse. Gli ambienti di vecchie strutture industriali ora sono aule grazie ad una lavagna; le antiche mura che proteggevano al loro interno saperi e scoperte di tante generazioni oggi sono prefabbricate, di poco spessore.

‘Non sappiamo dove ci metteranno l’anno prossimo’, ci risponde uno studente riferendosi alla locazione della sua facoltà. Passività, instabilità, incertezza, non appartenenza: ‘Non sappiamo cosa ci aspetta e non siamo gli artefici del nostro futuro imminente’. C’è chi è ormai del tutto assuefatto a questo stato di cose e chi invece vuole scappare in posti in cui si percepisce ‘un dopo’, un domani chiaro. E allora perché non farlo? Motivi economici costringono molti a restare, ma ci sono anche quelli affettivi a spingere i pochi altri a dare una chance alla città.

‘Qui a L’Aquila sto bene. Mi basta la buona compagnia dei miei amici’ è il pensiero di molti fuori sede. E allora a noi aquilani cosa manca? Non avere altro, oltre al piacere di affetto e amicizia. ‘Si, sono sempre felice quando torno a casa, perché lì ho la mia normalità: i miei spazi, il solito bar, il corso pieno di negozi ed affascinanti palazzi. Certo, l’occhio e lo spirito vogliono la loro parte’ risponde una ragazza di Teramo. La parte che manca a noi, semplicemente questo. Ci manca un’alternativa, una materialità, un luogo che abbia di per se qualcosa da offrire; qualcosa di diverso da impalcature, recinzioni, puntellamenti e militarizzazione.

D’altronde è normale: il disastro c’è stato e non si può cancellare. Ma la situazione si può migliorare attraverso gli stimoli giusti che devono venire da noi oltre che dal di fuori. La potente sinergia tra esempi positivi dall’esterno che spingano la città ad uscire dal suo guscio e una volontà interiore di riscatto e rinascita può riportare lentamente alla luce una città ormai assuefatta alla sua straordinaria normalità.

 

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