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Venezia in chiusura ed altri festival

Venezia in chiusura ed altri festival

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(Di Carlo Di Stanislao) Fra le molte previsioni condivido quella di Massimo Maga, che ricalca quella dei bookmaker di Betclick e sostiene che sabato, la giuria presieduta da Alexandre Desplat (compositore francese di colonne sonore), Joan Chen (attrice e regista cinese naturalizzata statunitense), Philip Groning (regista e sceneggiatore tedesco), Jessica Hausner (regista e sceneggiatrice austriaca), Jhumpa Lahiri (scrittrice statunitense di origine indiana), Sandy Powell (costumista britannica, candidata 9 volte all’Oscar per i migliori costumi e vincitrice di tre statuette, rispettivamente per Shakespeare in Love, The Aviator e The Young Victoria), Tim Roth (attore e regista inglese), Elia Suleiman (regista, sceneggiatore ed attore palestinese) e Carlo Verdone, assegnerà il Leone D’Oro o a ‘Birdman’ di Alejandro G. Inarritu, con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Emma Stone e Naomi Watts; o a ‘A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence’ di Roy Andersson, con Holger Andersson e Nisse Vestblom .

Alternative possibili sono ‘The Cut’ di Fatih Akin, con Tahar Rahim, George Georgiou, Akin Gazi, ‘The Look Of Silence’ di Joshua Oppenheime, ed anche Pasolini’, di AbelFerrara con Willem Dafoe, Maria de Medeiros, Riccardo Scamarcio.

Non credo, invece, abbiano chances i nostri tre film in concorso (quelli di Martone, De Angelis e Saverio Costanzo), mentre outsider possibili potrebbero essere: ‘Tales’ di Rakhshan Bani-Etemad, con Habib Rezaei, Mohammad Reza Forutan, Mehraveh Sharifinia e ‘Sivas’ di Kaan Mujdeci , con Okan Avci, Cakir e Ozan Celik.

Comunque oggi la mostra si chiude ed è tempo di fare i primi bilanci che, con 22 mila biglietti venduti e 2.300 giornalisti sono più che positivi in un periodo in cui, tutti i Festival, tranne Toronto, perdono frequentatori ed appeal.

L’apparato ha funzionato molto bene e l’esordio della nuova sala Darsena, dove è stata inserita la sezione Orizzonti, è andata alla grande.

Resta da scogliere il nodo Casinò, il cui rifacimento necessiterebbe di 15 milioni di euro e due anni di lavoro, come anche il recupero di quel glamour festaiolo che ha contrassegnato le edizioni firmate Marco Muller.

Comunque, come sempre in chiusura di Festival, sono in molti, a partire da Alberto Alfredo Tristano, a chiedersi se di festival del cinema in Italia non se ne facciano troppi, considerando che, secondo una ricerca dell’università Iulm per Afic, l’Associazione dei film festival italiani, in tutto essi sono ben 185.

Fra questi, naturalmente, tre sono i principali: Venezia, Roma e Torino, con il Guardian che, ad esempio quest’anno, ha deticato al Lido tre articoli, uno solo a Roma (per ora) e nessuno a Torino.

Sono in molti ha dire che, in tempo di crisi soprattutto, si dovrebbe realizzare un solo grande festival di caratura nazionale ed internazionale, come Cannes e Locarno e che questo non si fa, scrive il critico Roberto Escobar:, solo “per campanilismi, provincialismi e miopie culturali”.

Dal suo punto di vista il Festival di Roma non ha bisogno di esistere, mentre Torino sembra più serio ed interessante.

Non so se Escobar abbia ragiona (propendo comunque per il sì), ma certo anche la vicinanza temporale nuoce ai tre festioval primari.

D’altronde, cambiare date è dura anche per rassegne minori come il festival del cinema di Milano, che quest’anno si è accavallato a Venezia.

Sono in molti a sostenere, e fra questi Paolo Virzì, che la soluzione consista nella specializzazione. “Basta guardare- ha detto il regista- alla qualità delle Giornate del Cinema Muto, a Pordenone”.

Il presidente dei docenti di Cinema delle università italiane, Gianni Canova, ritiene, a tal proposito, che le rassegne di Roma e Venezia siano un doppione, mentre la citata ricerca che la Iulm ha condotto per Afic sottolinea che i bilanci dei festival raramente guadagnino dai biglietti venduti al pubblico: nel caso degli eventi minori, in media, le entrate dipendono al 70% dai finanziamenti pubblici e solo al 20% dagli sponsor. Certo, ogni evento ha poi la sua proporzione. Se Venezia e Roma beneficiano di ben più ingenti fondi pubblici, a Milano biglietti venduti, fondi privati e pubblici (Comune più fondi europei) contribuiscono per un terzo ai 500mila euro di budget.

Eppure, nonostante i bilanci tirati, è proprio Canova a sottolineare che gli eventi cinematografici non sono “vuoti a perdere”. Il valore economico è collettivo: per i festival minori, un euro speso nella gestione genera un effetto complessivo sull’economia locale pari a circa due euro, tra turismo e lavoro per la manifestazione.

Il più caro fa i festival big, con una spesa prevista in 10 milioni di euro, resta Roma, mentre Torino ha una spesa molto più “modesta”, con un budget di 2 milioni e 400 mila euro.

Per quanto riguarda i minori, quasi tutti, a parte Bologna, Ischia e Trieste, chiudono con bilanci negativi.

Ma il discorso non può essere meramente economico, perché dietro vi sono intenti promozionali e culturali e, per il pubblico esperto, sono l’occasione di vedere pellicole escluse dalla grande distribuzione; per quello meno esperto, di appassionarsi; per chi studia cinema o fotografia, la possibilità di uno stage.

Penso ad un Festival minore che direttamente mi riguarda (essendo da due ani presidente della giuria), il Festival Opera Prima di Roseto degli Abruzzi, con l’80% di finanziamento comunale e solo il 20% di sponsor, che fa miracoli con un budget di soli 20.000 euro scarsi, diverte ed appassiona per sette sere, permette di vedere opere prima spesso di distribuzione indipendente e consente lunghi colloqui con attori ed autori, inclini a confrontarsi con il pubblico.

L’anno prossimo questo piccolo Festival (comunque il più antico sul tema), compirà venti anni e, certamente, si ornerà di manifestazioni collaterali atte a ripercorrerne la storia, con l’aiuto di un nutrito gruppo di esperti di Rai Movie (innamorati di Roseto e del Festival) e dell’Istituto Cinematografico Lanterna Magica de L’Aquila (che vi collabora dal 2010).

Suggerirò, fra le altre cose, una clip da mandare in continuo negli spazi del festival, realizzata con sequenze dei venti vincitori delle passate edizioni; allestimenti permanenti con foto di scena e bozzetti sui film che hanno fatto la storia del cinema italiano, con reperti e curiosità prestate dal Museo delle Arti e dei Mestieri del Cinema che lo stesso Istituto ha inaugurato a giugno presso la Biblioteca Tomassiana de L’Aquila.

Chiederà a Daniele Segre, nuovo direttore, grande cinefilo ed amico, di selezionare per un dopo-festival notturno, i migliori saggi degli allievi della sede aquilana del Centro Sperimentale di Cinematografia, ma anche altri contributo, come, il nutrito archivio fotofrafico dell’Istituto Luce, raccolto in un libro intitolato “L’immaginario italiano”, curato da Gabriele D’Autilia, docente di Fotografia e Cinema presso l’Università di Teramo, con una preziosa prefazione di Dacia Maraini, che in 350 pagine di testi (in italiano e inglese) e centinaia di splendide immagini in bianco e nero, riflette il senso profondo del nostro Paese ed è un documento splendido dove è possibile leggere le diverse pieghe del viaggio dell’Italia nel Novecento.

Questa parte ricalcando la mostra per i 90 anni dell’Istituto Luce, inaugurata il 4 luglio e che si chiuderà il 21 settembre al Vittoriano, per celebrare una delle più grandi imprese culturali del Paese, un luogo di elezione della sua conoscenza storica e il deposito materiale di beni immateriali: le memorie, i segreti, i sogni dell’Italia dai primi del ‘900 al presente.

E, volendo continuare nel sogno, come appunto per la mostra al Vittoriano e a Roma, si potrebbe immaginare per Roseto, una grande retrospettiva di film e documentari, rappresentativi della nostra storia cinematografica e sociale, da tenersi in vari luoghi della cittadina, nei giorni del Festival.

Con l’aiuto dell’amico Gamal Bouchaib, consigliere straniero al Comune dell’Aquila, invitare come madrina del Festival Farida Benlyazid, la più importante regista marocchina e presentare, con il suo commento, i suo film con grandi storie di donne: Keïd Ensa / Women’s Wiles (1999), Casablanca, Casablanca (2002) e Juanita de Tanger, esempi di cinema in cui realtà e finzione si mescolano, in un conubio di intricante potenza.

La scelta nella direzione di un connubio con la rassegna, per ragioni di budget interrotta quest’anno, “Frammenti di donna”, curata per tre edizioni dall’Istituto Laterna Magica, ispirata al’omonimo (in italiano) film del 1970 di Jerry Schatzberg, film fatto di luci e di ombre, che esplora la complessità inestricabile, contraddittoria e stimolante dell’universo femminile.

Perché per noi il cinema è femmina e, per tale motivo, vorremo anche proiettare, nella serata finale di Roseto Opera Prima, “Wanda”, prima e unica pellicola di Barbara Loden, nota soprattutto come attrice di teatro e di cinema e moglie di Elia Kazan, premio della critica al Festival del cinema di Venezia del 1970, ma subito precipitata nell’oblio, completamente restaurata (a cura della Film Foundation di Martin Scorsese e dalla Fondazione Gucci) dalla Cineteca di Bologna, con una intatta carica deflagrante, nel racconto brusco e sintetico di un mondo che, oggi come alloro, crea molti problemi alle donne.

In una biografia postuma (la Loden morì nel 1980 a soli 48 anni), il maschilista Kazan la definì “priva delle quyalità di un cineasta indipendente”, ma ciononostante e nonostante il patente boicottaggio di Hollywood, il film, interpretato dalla stessa Loden, far intravederei germi di qualcosa che si può in ogni caso chiamare rivoluzione, sia pure pre-politica, ma non per questo meno gravida di conseguenze

La domanda che riecheggia è “perché una donna deve per forza essere “qualcosa”?, con la stupidità della protagonista che serve come protezione e come riscatto al no-sense di una esistenza derelitta. Un film che immerge nel dramma delle donne infelici di ogni tempo e latitudine, ma vaccina dagli stereotipi.

Un film che ci starebbe bene in un Festival voluto e pensato da Tonino Valerii, proprio per mostrare la forza e l’indipendenza delle idee nel cinema.

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