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Anni spezzati  e memorie infrante

Anni spezzati e memorie infrante

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(Di Carlo Di Stanislao) Ex vice responsabile della squadra politica della questura di Milano, assassinato dai terroristi il 17 maggio 1972, appena uscito di casa, con cinque colpi di pistola sparati alle spalle, Luigi Calabrese, è il protagonista della prima di una serie prodotta da Rai 1 dedicata agli “anni di piombo”, intitolata “Gli anni spezzati”, con la seconda che ha per titolo “Il Giudice”, in onda il 14 e il 15 gennaio e l’ultima, “L’ingegnere” il 27 e 28 gennaio, sempre sulla rete ammiraglia della tv di Stato ed in prima serata.

Scopo della miniserie è far conoscere anche al pubblico più giovane aspetti ancora non del tutto approfonditi del nostro più recente passato, attraverso tre figure esemplari per raccontare gli anni Settanta che hanno sconvolto l’Italia, dal punto di vista di chi ha lottano strenuamente per cercare di salvare la Repubblica e le istituzioni, in tempi di odio politico, di violenza e di intolleranza, con tre protagonisti che hanno invece cercato un approccio moderato e pacificatore.

La regia delle sei puntate (due per ogni personaggio) è di Graziano Diana, nato a Livorno il 30 gennaio 1959, che ha iniziato collaborando alla sceneggiatura di Maccheroni e La Famiglia di Ettore Scola. E poi, con Simona Izzo e Ricki Tognazzi a quelle di Ultrà, Vite strozzate, e La scorta, per poi scrivere on Angelo Pasquini Un eroe borghese dal saggio omonimo di Corrado Stajano, diretto da Michele Placido e, in campo televisivo, firmando la partitura di fiction tra le più popolari e qualificate degli ultimi anni: Ultimo diretto da Stefano Reali; Donne di mafia di Giuseppe Ferrara; Lo zio d’America di Rossella Izzo, Soldati di pace (2003) diretto da Claudio Bonivento, vincitore a Saint Vincent della “Grolla d’oro” Ricky Tognazzi; Amiche (2004 – Tv) di Paolo Poeti; Attenti a quei tre (2004 – Tv) di Rossella Izzo; Don Bosco (2004 – Tv) di Lodovico Gasparini; L’uomo sbagliato (2005 – Tv) di Stefano Reali; La luna e il lago (2006 – Tv) di Andrea Porporati; Lo zio d’America 2 (2006 – Tv) di Rossella Izzo; Eravamo solo mille (2007 – Tv) di Stefano Reali; Tutte le donne della mia vita (2007) di Simona Izzo; Il giudice Mastrangelo (2005-2007 – Tv 4 episodi) di Enrico Oldoini; La vita rubata (2008 – Tv) per la sua stessa regia Diana. Nelle vesti di attore è apparso in Vite strozzate (1996) di Ricky Tognazzi, Cronaca di un amore violato (1996) di Giacomo Battiato e in Tutte le donne della mia vita (2007) di Simona Izzo.

La prima parte, “Il commissario”, in due puntate, l’ultima delle quali ieri sera, con Sulfrizzi nella parte di Luigi Calabrese, incaricato delle indagini sulla strage della Banca dell’Agricoltura, drammatico epilogo dell’autunno caldo del 1969, è stata accusata di una ricostruzione storica non convincente e troppo didascalica, che sembra pensata per un pubblico di studenti delle medie, con dialoghi e i personaggi troppo spesso letti e costruiti secondo un’ottica buonista e retorica, un cast decisamente sotto alle attese e una scenografia povera, che contribuisce a rendere l’idea di un’operazione raffazzonata e quasi posticcia, con l’aggravante, si è scritto anche su twitter, della presenza di due delle star di “Boris” (la serie tv che satireggia sulla fiction italiana) nei ruoli chiave di Pinelli e del questore, che quasi farsesca.

Si è naturalmente fatto un raffronto con il recente film di Marco Tullio Giordana dedicato agli stessi avvenimenti, “Romanzo di una strage” e detto che è il film ad uscire chiaramente vincitore rispetto alle due insulse puntate tv, poiché riesce a coinvolgere lo spettatore, scaraventarlo nella cupezza e nell’angoscia di quegli anni, cosa che nella fiction Rai neanche si intravede.

Per quanto mi riguarda credo che le critiche siano state eccessive e che il pubblico più smaliziato, di fronte alle fiction televisive, abbia ormai una tale mole di pregiudizi) da stroncare tutto e tutti quasi a prescindere. Perché su questo versante, a parte un eccessivo didascalismo e forse una certa timidezza in alcuni passaggi, non pare si possano muovere chissà quali critiche alla produzione della Rai: la morte di Pinelli è lasciata nel mistero e la volontà del governo di indirizzare le indagini ad ogni costo sulla pista anarchica emerge abbastanza chiaramente.

Certo ci sarebbe piaciuto che il regista avesse tenuto presente la ricostruzione del commissario Calabresi, vittima designata di uno stato di cose, fatta di recente dal figlio Mario, nato nel 1970, autore, di recente, del bel romanzo “Spingendo la notte più in là”, testo che si apre con una Nota per il lettore, molto utile per ricordare fatti e persone di cui troppo spesso si può perdere memoria.

Soprattutto avrebbe, Graziano Diana, dovuto avere più presente il tenore della impostazione dello scrittore: dopo un evento senza ritorno si può ripartire, cercare di ricostruire la propria identità e la propria memoria, spostando – appunto – il buio oltre. È ciò che l’autore ha voluto fare, aiutato da una madre intelligente e coraggiosa, che ha cresciuto i tre figli, cercando di vaccinarli dall’odio, dal desiderio della vendetta, dalla condanna di essere vittime rabbiose. E questo senza arrendersi, inseguendo giustizia e verità (parole importanti nell’Italia del post-terrorismo) per una cultura della vita. Questa lezione morale sembra essere passata nel figlio scrittore che è riuscito ad “oggettivare” fatti e sentimenti e ha composto un libro coinvolgente, dove non c’è spazio per recriminare o naufragare nel dolore ma viene offerta al lettore, una chiave di lettura degli eventi legati al terrorismo italiano e ai soggetti coinvolti.
La vita di Calabresi non è stata tuttavia immune dal dolore, dal sentirsi diverso rispetto agli altri bambini, dal senso di abbandono da parte delle istituzioni, ma aver voluto, da uomo adulto, comporre i frammenti di parte della sua vita, permette a noi lettori di scoprire un aspetto lasciato troppo spesso in ombra nel clamore delle vicende politiche e giudiziare italiane. È il caso dei “parenti delle vittime”, definiti da Mario Calabresi insolitamente mansueti, con un forte senso dello Stato, con rispetto per i loro morti che impedisce di trascendere.

Va detto, ad onor del vero e da parte di chi quei fatti li ha vissuti e li ricorda, che si registrò, da parte di molti, contro Calabresi un pubblico linciaggio che lo uccise moralmente, fino al momento in cui fu riconosciuta ufficialmente la sua estraneità ai fatti e prosciolto giudiziariamente e fino al conferimento, ma solo nel 2004, della medaglia d’oro alla memoria.

Infine, ai criticoni del film di Diana, vorrei ricordare che un film non è né cronaca né libro, ma qualcosa di diverso e che esprime un giudizio complesso, con varie sfaccettature e senza la sommarietà di una condanna o di una assoluzione.

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