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Doppio ricordo

Doppio ricordo

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(Di Carlo Di Stanislao) Era malato da tempo e si è spento sabato scorso, nella sua casa di Tarragona sulla riviera catalana, assistito dalla moglie e dalle figlie, Bigas Luna, Leone d’argento per la regia al festival di Venezia con il film “Prosciutto prosciutto” (Jamón Jamón) nel 1992, autore di successi-scandalo internazionali come “La teta y la luna” e “Le età di Lulù”, che lanciò la nostra Francesca Neri.

Aveva soli 67 anni Luna, a cui si deve la scoperta di attori del calibro di Javier Bardem, Penélope Cruz,Ariadna Gil e Jordi Mollà, con una origine come disegnatore e la prima regia nel 1971, con il cortometraggio “El llit. La taula”. Nel 1976 il primo lungometraggio: “Tatuaje”, tratto da un romanzo di Manuel Vazquez Montalban, in cui affrontava il tabù dell’incesto. Poi, due anni dopo “ Consol Tura” con esordio a Cannes con “La chiamavano Bilbao”, seguito da “Caniche” (1979) e da “Lola” (1986), fino al suo capolavoro “Le età di Lulù” (1990).

La fama internazionale arrivò due anni dopo, con “Prosciutto, prosciutto” (1992) con Anna Galiena, Penelope Cruz e Stefania Sandrelli, con vinse a Venezia e a San Sebastian e si impose alla attenzione della critica, fino ad allora alquanto distratta. Dopo “La teta y la luna” (1994) e l’amaro “Uova d’oro” (1993), con Alessandro Gassman, portò sul grande schermo “Bambola” con Valeria Marini, film non certo fra i suoi migliori come l’ultimo “Son de mar”.

Dal design all’eros, sul grande schermo. Si potrebbe sintetizzare così il percorso artistico del regista e sceneggiatore che alla fine degli anni sessanta fondò con Carles Riart lo studio ‘Gris’, che si occupava di disegno industriale e arredamento di interni e che, l’anno della fondazione, venne premiato per il progetto di un armadio e nel 1973, firmò un innovativo sistema di segnaletica per un ospedale di Barcellona.

Sarebbe il caso, in sede critica, recuperare la figura di Bigas Luna, molto prossimo, ma con con una personalissima visione, al molto più acclamato Almodovar, entrambi grotteschi, entrambi provocatori, entrambi sessualmente oltranzisti, con la differenza che se da un lato Almodovar si è progressivamente avvicinato a una propria rilettura dell’accademismo, Luna è rimasto fortemente legato fino in fondo alla sua vena sarcastica, con esiti estetici talvolta ben peggiori del collega connazionale, senza dubbio, ma se non altro fedele a una linea ruspante e vagamente trucida.

Così meriterebbe un recupero “Uova d’oro”, commedia erotico-sociale stavolta virata al maschile, tra i primi ruoli da protagonista per Javier Bardem e gli ancora più estremi e volutamente “scardinati” La chiamavano Bilbao” “Caniche” e Lola”, lettura antikubrichiana del capolavoro di Nabokof, certamente molto più erotico ed originale del pessimo esito hollywoodiano di Adrian Lyne.

Pur affetto da una grave malattia, Bigas Luna non aveva rinunciato a lavorare e stava iniziando le riprese del “Mecanoscrito del segundo origen”, un adattamento per il cinema del romanzo dello scrittore Manuel de Pedrolo, che che, comunque, per volontà della famiglia, sarà portato a termine e dedicato al nipotino del grande autore.

Un giorno prima, venerdì, era morta, a 92 anni e a Roma, Regina Bianchi, che dopo Titina, per la quale era stata scritta, fu una grandissima Filumena Marturano, quella consegnata all’immaginario dei posteri dalle edizioni televisive delle commedie di Eduardo.

Il suo vero cognome era D’Antigny, nata a Lecce il primo gennaio 1921, figlia d’arte, scritturata giovanissima, a soli 16 anni, da Raffaele Viviani (anche se a poco più di una settimana aveva già recitato nella compagnia fondata da Peppino De Filippo dopo la dolorosa scissione dal fratello).

Ma il debutto precoce non corrispose a una continuità sulle scene, che tornò a calcare solo negli anni Cinquanta, dopo una lunghissima fase di silenzio.

Alla base di questo allontanamento ci fu l’unione con Goffredo Alessandrini, ex marito di Anna Magnani e tra i primi registi del cosiddetto cinema dei telefoni bianchi, che pare la costrinse ad abbandonare le scene inducendola ad occuparsi solo delle due figlie che ebbero insieme.

Al cinema la ricordiamo ne “Il giudizio universale” (1961) di Vittorio De Sica, “Le quattro giornate di Napoli” (1962) di Nanni Loy, per cui vinse il Nastro d’argento, “Kaos” (1984) di Paolo e Vittorio Taviani e “Il giudice ragazzino” (1994) di Alessandro Di Robilant.

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