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La Berlinale per River ed altre cose

La Berlinale per River ed altre cose

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(Di Carlo Di Stanislao) Morto di overdose a soli 23 anni, River Phoenix, nome d’arte di River Jude Bottom, bravissimo e sfortunatissimo attore nato da un turbolentissima famiglia, con continui traslochi fra Venezuela, California e Florida, è stato ricordato al Festival di Berlino con la proiezione del suo ultimo film: l’incompiuto “’Dark Blood’, mostrato ieri in una rara proiezione, dopo la battuta d’arresto, nel ’93, a causa della sua morte improvvisa, terminato dal regista olandese George Sluizer che, lo scorso anno ne ha recuperato le bobine e completato le scene con una voce narrante. Un film non eccezionale, ma con una grande prova attoriale di Phoenix, con al fianco Judy Davis, T. Dan Hopkins e Jonathan Pryce che, al Berlinale è tornato a parlare di River, lanciato a soli dieci anni (al fianco della sorella Rainbow) nel serial TV “Real Kids”, nel 1980; attore con fama di personaggio maledetto che, benché abbia interpretato anche commedie (“Indiana Jones e l’ultima crociata”, 1989 e “Ti amerò fino ad ammazzarti”, 1990), si ricorda come novello James Dean, soprattutto fra i teen-agers, per tre film, in cui ha interpretato il ruolo del ragazzo difficile, introverso e ribelle: “Stand by me-Ricordo di un’estate” (1986), delicata storia sulla fine dell’infanzia e la scoperta della morte; “Vivere in fuga” (1987), dove Phoenix è lo sbalestrato figlio di una coppia di radicali americani e soprattutto “Belli e dannati” (1991) di G. Van Sant avventura on the road di una coppia di adolescenti tossicodipendenti e omosessuali.

Nel corso della sua brevissima vita, ha comunque avuto modo di apprezzare la vertigine del batticuore durante le riprese di “Running on Empty”, innamorandosi della coprotagonista femminile, Martha Plimpton, che di lì a poco diviene sua fidanzata ufficiale e che poi lasciò per la bellissima Samantha Mathis, coprotagonista con lui di “The Thing Called Love”, una pellicola speciale anche per via di un particolare curioso: nel film, River suona con un gruppo musicale alcune canzoni scritte da lui; poiché la sua vera inclinazione era la musica, anche se poi si è sempre dedicato soprattutto al cinema, dopo aver fondato una band chiamata Aleka’s Attic, con cui ha realizzato la colonna sonora originale del film che più lo ricorda: “Belli e Dannati”.

Tornando a “Dark Blood”, caparbiamente difeso e portata al Festival dall’ormai novantenne (e con sequele di un ictus avuto nel 2007) George Sluizer, è la storia è quella di un giovane vedovo che, isolato nel deserto dell’Arizona dove sono in corso strani esperimenti nucleari, incontra una coppia di cui presto diventa una sorta di rapitore.

Inizialmente si era detto che avrebbe ‘colmato i buchi’ la voce del fratello Joaquin Phoenix (The master), ma poi la famiglia ha preso le distanze dal progetto che, comunque, difficilmente vedremo nelle sale e che era stato presentato nel 2012 in un festival olandese.

Dicevamo che il River migliore lo abbiamo avuto con Gus Van Sant, grande regista che adesso, da Milk, ha virato il suo cinema rarefatto e durissimo in racconti alla Clint Eastwood e che si sarebbe certo giovato della particolare fisicità del più celebre fra i Phoenix, ad esempio anche nel suo recente (in uscita in Italia in questi giorni), “Promised Land”, parabola moderna che prende la fredda materia dell’economia, dell’energia, di un capitalismo selvaggio e aggressivo, rendendo tutto sentimenti, vita, storia.

Mentre penso a questo mi prende lo sconforto del cinema italiano in giro per le sale: “Il principe abusivo”, esordio dietro la macchina da presa di Alessandro Siani, risaputo e scontatissimo, con racconto del tutto insulso e noioso della trasformazione, alla Pretty Woman invertito, di Siani stesso, da disoccupato cafone a signorino raffinato.

Ma mi consolo pensando che anche Hollywwod commette errori, come nel caso di “Die Hard – Un buon giorno per morire”, in cui Bruce Willis, rimasto nei cuori degli amanti dell’action, si fa affiancare dal figlio, John jr detto Jack, e insieme fanno danni nella Russia che già ci aveva regalato i nemici del primo capitolo, ma con un tono poco convinto e del tutto sbadigliante, con un Jai Courtney (il figlio), straordinariamente inespressivo.

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