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Malamore al cinema

Malamore al cinema

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C’è un film in circolazione in questi giorni,  da preferire agli altri e da vedere certamente.

L’ha diretto (e scritto con un’altra donna: Rory Kinnear) Lynne Ramsay, affidandone il ruolo principale ad una superlativa Tilda Swinton, madre che ama un figlio difficile che,   si dall’infanzia, con un autismo non completo e non tipico ed una violenza furiosa, le rende la vita un inferno.

A 16 anni, Kevin, questo il nome del figlio, uccide molti compagni di scuola,  dopo aver ucciso il padre e la sorellina e viene arrestato  e chiuso in un riformatorio, con un calvario materno ancor più buio e difficile.

“E ora parliamo di Kevin” è un film oscuro, angosciante, con una storia, intrisa di tensione drammatica e costruita su vari episodi, che si svolge lungo un tracciato spettacolare che per molti aspetti è inconsueto e originale.

Perché, da un lato, un’attrice come Tilda Swinton riesce a raggiungere un alto livello interpretativo dando al suo personaggio uno spessore umano e psicologico di rara intensità; dall’altro, la regista Lynne Ramsay costruisce la vicenda drammatica con una serie di interferenze tra una sequenza e l’altra che inseriscono nel racconto parecchi elementi interpretativi.

Tratto dal controverso romanzo Dobbiamo parlare di Kevin di Lionel Shriver (anche lei una donna), il film è stato presentato in anteprima e in concorso al Festival di Cannes nel maggio 2011, successivamente al Toronto International Film Festival, dove ha vinto il premio come miglior film al London Film Festival e ricevuto, poi,  ben tre nomination ai BAFTA Awards, con la  protagonista che  si è aggiudicata il premio come miglior attrice agli European Film Awards, ai National Board of Review Awards e ai San Francisco Film Critics Awards, oltre alla nomination ai Golden Globes, agli Screen Actors Guild Awards, ai BAFTA Awards e ai Broadcast Film Critics Awards.

La complessa  pellicola della quarantenne  Ramsay, ha ottenuto anche sei candidature ai British Independent Film Awards, vincendo il premio per la miglior regia ed è certo che “E ora parliamo di Kevin” è uno dei migliori prodotti visti  in questo scorcio di anno, con un cuore nella storia d’amore tra madre e figlio: un amore-odio, pieno di ambiguità e di non detti, fatto non si sa bene se di troppa remissione, di eroica resistenza o di incontrollabile destino.

Dopo aver vinto, nel 1996, il Premio della Giuria a Cannes per il cortometraggio realizzato in occasione del suo diploma, dal titolo Small Deaths, Lynne Ramsay, con il secondo cortometraggio, Kill the Day, ha vinto il Premio della Giuria al Festival di Clemont Ferre e con il  terzo, intitolato Gasman, si è aggiudicata un altro Premio della Giuria a Cannes, oltre a un BAFTA scozzese.

Il suo primo film, Ratcatcher-Acchiappatopi (1999), è  stato proiettato al Festival del Cinema di Cannes del 1999 ed ha aperto il Festival Internazionale del Cinema di Edimburgo, facendole vincere il premio Guardian New Director, oltre al Carl Foreman Award per il Migliore Regista Esordiente ai BAFTA Awards del 2000, al Sutherle Trophy al London Film Festival e il Silver Hugo per la Migliore regia e il  Chicago International Film Festival, come miglior film della stagione.

Nel 2002 esce il secondo lungometraggio, Morvern Callar (2002), anche questo strapremiato: a Samantha Morton, la protagonista,  il British Independent Film Award come Migliore Attrice e a Kathleen McDermott, l’altra interprete, il BAFTA scozzese come Migliore Attrice.

Notevole anche la scelta estetica della Ramsay in questo suo ultimo film, basata sul rosso e sul sangue,  declinati e ripresi in tutti i modi possibili, con la sequenza dei corpi imbrattati e annegati nel pomodoro, che saetta immediatamente gli assi cartesiani della tragedia in corso; quello lirico e quello quotidiano, famigliare.

Splendido, inoltre,  il montaggio, di Joe Bini,  rimescolato al millimetro, costruito per la tensione.

Nella parte finale  Eva, la madre, costretta ad abbandonare il suo quartiere, passando gli anni seguenti nel senso di colpa, interrogandosi sulle proprie responsabilità, è metafora dolorosa dell’amore materno che sbaglia in ogni caso, anche quando ama.

Un film sull’amore materno, ma declinato in modo molto diverso da quanto di solito si vede al cinema e, come ad esempio, rappresentato da Redford nel recente (2010) “The Conspirator” un amore in cui i silenzi sono troppi e troppo forte la paura di capire per rendere le due parti (madre e figlio) serene.

In fondo, a ben vedere, Eva genera un figlicidio interposto ed interrotto, creando un autismo violento attraverso il suo disperato (e non corrisposto) amore.

E’ ormai palese, dalle letteratura scientifica, con una accurata analisi storica dei reati principali commessi dalle donne nei confronti dei propri figli, come l’abbandono, l’infanticidio, il figlicidio, vedere come le motivazioni moderne siano in parte cambiate rispetto al passato ed oggi, detti comportamenti, sono  maggiormente l’espressione di un disagio profondo causato anche dalle richieste che la società in cui viviamo ci Nella nostra realtà l’ideale materno ha una sua storia che non può prescindere dai cambiamenti della condizione femminile e dello stato giuridico della maternità senza tenere conto della storia della filiazione e del ruolo paterno.

Nella storia della condizione femminile occorre prendere assolutamente in considerazione il rapporto che c’è tra sessualità e riproduzione e tra la maternità biologica e maternità culturale dove la potenzialità di fare figli viene predeterminata dalla società e dalla cultura.

Il comprendere però che la condizione femminile è da sempre legata a disturbi della sfera emotiva e della psiche ci da la possibilità di leggere con più chiarezza l’intreccio spesso difficile da districare che c’è tra i ruoli, le competenze, le funzioni sociali proprie dell’essere donna e i compiti istituzionali della psichiatria e della comunità di appartenenza. fa continuamente e che sempre più spesso sfociano in patologie di tipo psichiatrico.

Tutto questo c’è nel film della Ramsay, con una efficacia espressiva che tiene conto delle regole del mezzo, non annoia come un saggio e coinvolge lo spettatore.

Un film in cui Ramsay, giocando con flashback e temporalità sovrapposte, riesce ad immergerci nel mondo emotivo di Eva, che oscilla tra un passato intenso e doloroso, e un presente di espiazione, in cui si muove come una sonnambula in una cittadina che l’ha condannata al ruolo di madre del “mostro”.

Il film, accolto con entusiasmo negli USA, è uscito nelle nostre sale, istruito dalla Bolero film, lo scorso 17 febbraio.

Carlo Di Stanislao

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