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Diversi con Skianto

Diversi con Skianto

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(Di Carlo Di Stanislao) Non aveva 60 anni ed è morto dopo una lunga, dolorosa malattia Roberto “Freak” Antoni, cantante e leader degli “Skiantos”, il gruppo che ha cambiato la musica italiana degli anni ’80.

Nel 2001 aveva partecipato a Paz!, il film di De Maria dedicato al grande fumettista e due anni fa, dopo 35 anni dallo scioglimento burrascoso , aveva pubblicamente fatto pace con i suoi compagni di avventura dai quali, disse, non si era mai realmente separato.

Nel 2013 aveva partecipato alla festa del Fatto Quotidiano, con la consueta ironia ed detto che con gli Skiantos aveva preparato i ragazzi “al fatto che la vita è una grande fregatura”. Negli ultimi tempi si era avvicinato alle pratiche spirituali e alla lettura di Osho, di cui aveva proposto alcuni brani durante i suoi spettacoli, apprezzandone il sentimento di lievità verso la morte.

“La vita è spesso superficiale e bellissima, noiosa, tragica”, aveva detto in un’intervista qualche tempo fa. “Ne siamo dipendenti, succubi”.

Se n’è andato stamattina, al termine di una lunga malattia come detto, che, se non altro, lo aveva fatto smettere con la droga, come aveva confidato lui stesso con l’ironia dissacrante che lo ha sempre accompagnato. Cinquantanove anni (60 li avrebbe compiuti il prossimo 16 aprile), con una carriera cominciata e proseguita fino alla fine come sbarbo monello della musica italiana , con esordio nella Bologna del ’77, quella del ‘movimento’ che riempì la città di fermenti creativi in ebollizione, prima che l’uccisione di Francesco Lorusso la trasformasse in campo di battaglia fra autonomi e polizia.

Ora ricordo commosso lo storico concerto del ’79 (avevo 25 anni e tanti sogni davanti), quando gli Skiantos anziché suonare si misero a cuocere gli spaghetti sul palco, sotto una pioggia di ortaggi lanciati dalla platea.

Io non lanciai che sorrisi e mi parve di capire le loro strofe: “Fate largo all’avanguardia/ siete un pubblico di merda/ tu gli dai la stessa storia/ tanto lui non ci ha memoria”, urlati da Freak in un crescendo di consapevolezza e di melanconia.

Trasgressione provocatoria ed intelligente la sua, quella stessa che si respira a Berlino e che continuerà fino al 16 febbraio, chiusura di questa edizione del Berlinale aperta con “Ninphomaniac”, con La Belle & la Bete di Christophe Gans con Vincent Cassel in forma nonostante l’abbandono da parte della Bellucci; con The Grand Budapest Hotel, l’ultima coloratissima opera di Wes Anderson, titolo d’apertura della kermesse:, con al centro della trama la sparizione di un prezioso dipinto del Rinascimento e con Aimer, boire et chanter del 82enne Alain Resnnais, un inno alla vita e anche una commedia di quelle che si definiscono agrodolci, in cui realtà e finzione si mescolano, con diversi attori feticcio del regista, da André Dussollier alla moglie e musa Sabine Azéma.

Meno dirompente e nuovo Monuments Men di George Clooney (nelle nostre sale giovedì 20 febbraio), che secondo Variety è dimostra che George ha perso il tocco; mentre fra quelli favoriti per gli Orsi The Little House di Yoji Yamada e La voie de l’ennemi di Rachid Bouchareb.

Ci sono poi due outsider: Boyhood di Richard Linklater e Is the Man Who Is Tall Happy? di Michel Gondry. Il primo che racconta di una coppia divorziata (Ethan Hawke e Patricia Arquette)che prova a crescere un figlio (Ellar Coltrane) e da vita ad un dramma dal sapore indipendente appena passato al Sundance. Il secondo è invece il ritorno alla realtà del regista di Se mi lasci ti cancello e L’arte del sogno, una conversazione tra lui e il linguista-filosofo Noam Chomsky.

Unica speranza italiana è Felice chi è diverso, di Gianni Amelio, che racconta come è stata vissuta l’omosessualità nel corso del Novecento., una pellicola intima e toccante, soprattutto dopo il coming out del regista, che è apparso più che mai provocatorio e controcorrente.

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