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Pasqua 2012: si va al cinema

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(di Carlo Di Stanislao) – Si conferma autore di grande impegno e coraggio Marco Tullio Giordana che, con “Romanzo di una strage”, al cinema da questo week-end, racconta la strage di Piazza Fontana, avvenuta 43 anni fa, in cui persero la vita diciassette persone e da cui scaturì una sequela di fatti e morti oscure.
Oggi, dopo quasi mezzo secolo, la memoria appare confusa, annebbiata, soprattutto per le giovani generazioni e allora Giordana,assieme agli esperti Sandro Petraglia e Stefano Rulli costruisce una sceneggiatura, scandita da una coerente divisione in capitoli, in cui si alternano personaggi e situazioni legate da un unico filo conduttore.
Dopo il passo falso di “Sangue pazzo”, il regista di “Cento passi”, con la sua tipica messa in scena semplice ma efficace, riesce a tornare ai fasti del suo cinema migliore, coinvolgendo emotivamente il pubblico senza ricorrere a bassi mezzi retorici.
Nonostante alcuni momenti in cui il ritmo tende a calare, “Romanzo di una strage”, grazie anche a un cast in buona forma (bravissimi sia Pierfrancesco Favino, che Valerio Mastandrea), risulta un film importante, in grado di scuotere e far riflettere sulla storia del nostro paese di ieri e di oggi.
Alcuni rimprovereranno a Giordana di non aver preso una posizione decisa su alcuni episodi, la morte di Pinelli in primis, ma a volte un rumore fuori campo può (di)mostrare più di qualsiasi immagine.
Meglio questo film che “La furia dei Titani”, sequel in 3D di “Scontro tra Titani”, racconto banalissimo del semidio Perseo, dall’annientamento del mostruoso Kraken in poi e molto meglio di “Buona giornata”, l’ennesima boiata dei fratelli Vanzina che in sette episodi intrecciati descrivono la routine degli italiani di oggi, tra escort, politici corrotti, manager succubi della tecnologia ed evasori fiscali, usando un cast molto vuoto e attrattivo, con Lino Banfi, Diego Abatantuono, Christian De Sica, Vincenzo Salemme e Maurizio Mattioli.
Risate vere, invece con “Marigold Hotel”, il nuovo film di John Madden e “Mon pire cauchemar” la nuova commedia francese con protagonista Isabelle Huppert.
L’attrice francese interpreta Agathe, direttrice snob e sarcastica di una fondazione d’arte contemporanea, residente con il marito editore François e il figlio Adrien in un appartamento di 200 metri quadrati nel centro di Parigi. La sua vita cambierà dopo l’incontro con Patrick, zoticone padre di un amico di Adrien, che vive nel retro di un furgone e sperpera nell’alcol i pochi soldi che riesce a guadagnare.
Classica vicenda di mondi opposti che iniziano pian piano ad attrarsi, “Il mio migliore incubo!” (questo il titolo italiano) è l’ultimo esempio di un filone di commedie transalpine su argomenti simili, basti pensare a “Giù al nord” di Dany Boon o a “Quasi amici»”della coppia Nakache-Toledano, in grado di ottenere anche da noi ottimi risultati ai botteghini.
In questo caso però la trama risulta piatta e scontata, priva di quell’audace ironia che aveva fatto la fortuna dei titoli menzionati sopra.
Certamente non valorizzata da una regia scolastica, Isabelle Huppert è decisamente sotto i suoi livelli abituali, ma ci auguriamo di ritrovarla al meglio in “Amour”, la nuova fatica di Michael Haneke prevista tra i titoli più attesi del prossimo Festival di Cannes.
Da vedere, poi, io credo, “I colori della passione”, progetto curioso e altrettanto coraggioso diretto dal polacco Lech Majewski, artista a tutto tondo che ci propone caso un viaggio all’interno de “La salita al calvario”, quadro dipinto da Peter Bruegel il vecchio nel 1564, in cui la Passione di Cristo è ambientata nelle fiandre del XVI secolo, oppresse dall’occupazione spagnola. Film più contemplativo che narrativo (a differenza di “The Passion” di Mel Gibson), “I colori della passione” è un’operazione affascinante e meticolosa, in cui ogni singolo fotogramma ricorda, per posizione dei personaggi e scelte di luce, le tele dei maestri fiamminghi.
Ma, seppur mai fine a se stesso, il gioco del regista rischia di risultare col passare dei minuti troppo ostico anche per gli spettatori più volenterosi, considerando inoltre la quasi totale assenza di comunicazione verbale tra i tanti personaggi in scena: Bruegel, interpretato da un inusuale Rutger Hauer, li guida e li controlla, ma i dialoghi sono totalmente ridotti all’osso e non svolgono certo una vera funzione narrativa.

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